Le sue orecchie sensibili avevano sentito l’avvicinarsi dell’uomo nell’oscuritá. Pochi flebili suoni bastarono ad immobilizzare il piccolo che, scimmiottandola, peluccava formiche e coleotteri tra i fili dell’erba bagnati nella raduna circostante. Correndo a gambe flesse distesa in tutta la sua lunghezza raggiunse dei cespugli di ginepro al limitare del bosco mentre il piccolo,arrancandole dietro, pur avvertendo nel tepore del corpo materno tensione e paura, le si rifugiava tra le gambe traendone immediato conforto. Da sola si sarebbe allontanata silenziosamente di pedina ma gli scarupi del bosco, intrigati da mille impacci, e le corte e deboli zampe del figlio implume, gli fecero optare per una attesa di eventi nel mimetismo dell’immobilitá.
L’umano giá da lungo tempo non produceva rumori ma lei ne avvertiva la presenza minacciosa nel crepuscolo della raduna. Inoltre nell’ultimo quarto d’ora un nuovo rumore veniva a complicare la situazione rendendola ancora piú nervosa. Nel risveglio della natura adesso percepiva distintamente dal profondo del bosco l’avvicinarsi di un grosso animale che, quantunque la sua esperienza lo presentasse come non pericoloso, avrebbe potuto obligarla a spostamenti dannosi per loro difesa mimetica.

roe-deer-1154927_960_720Il capriolo brucava goloso i germogli e i fili d’erba ancora umidi ai confini della radunaSua madre, in tempi remoti, gli aveva insegnato i pericoli delle zone aperte e lui si spingeva in quella tagliata solo con la sicura protezione del buio. Avanzava, ruminando le foglie, e annusava a scatti i rifoli del vento cercandoci eventuali presenze ostili. Poco prima, a onore del vero, un vago e strano odore confuso nell’umidore del bosco, pizzicandogli ad un tratto le nari, l’aveva immobilizzato sospettoso per parecchi minuti ma, tranquillizzato dal canto delle cinciallegre che svolazzavano tra gl’alberi, aveva deciso di completare la sua colazione con quel tenero trifoglio selvatico che lui sapeva crescere tra i ginepri della raduna. Guardingo si avvió in quella direzione e quasi subito i suoi occhi allenati videro le due minuscole creature, l’una tra le gambe dell’altra, accovacciate davanti a lui. In un istante il linguaggio universale dei loro corpi gli spiegó il perché di quella strana posizione e un messaggio di tensione-pericolo gli lampeggio nel cervello. Capí e quello fú l’unico momento che ebbe realmente paura. Un forte colpo alla spalla lo sollevó di peso mentre uno schianto immane gli stordiva l’udito annebbiandogli la vista. Piú per riflesso che per decisione cercó di scappare tentando alcuni passi sulle gambe diventate stranamente pesanti ma invece cadde e senza capire cosa gli stava accadendo, come atto finale al suo ciclo di vita, spiró stendendo le gambe.

CACCIATORELo schianto di un grosso martello battuto violentemente su una lastra di cristallo frantumó l’aria dell’alba assordandomi mentre sentivo il rinculo dell’arma contro la spalla. Il maschio di capriolo sobbalzó di lato come spinto da una mano invisibile e accennati alcuni passi,come ubriaco, crolló di schianto tra il sottobosco vicino ad una macchia di ginepri. A circa cinquanta metri di distanza nella mia postazione, mi alzai ancora frastornato sgranchendo le gambe anchilosate e mentre nelle orecchie l’eco dello sparo naufragava nelle onde di un pulsare sordo colmo di andrenalina, mi incamminai verso i ginepri dove era caduto contando i passi per calcolare la distanza del tiro.

All’esplosione sussultó. Terrorizzata ricordó quei rabbiosi sciami fischianti che inseguivano i suoi voli dopo lo sfrullo e il bruciore provocato dai loro morsi. La muta incompleta del piccolo, gl’impacci del terreno, l’avvicinarsi dell’umano col bastone tuonante si associarono nella sua testa facendola temere per le loro vite ma in quel momento tanto drammatico dai banchi della memoria genetica, il forte l’impulso di protezione della prole e della specie risveglió in lei il ricordo degli insegnamenti materni e immediatamente seppe cosa fare. Rinsaldando la presa delle gambe intorno al corpo del piccolo, piegó in avanti la testa immobilizzandolo con il lungo becco e focalizzati gli occhi su una visione a 360 gradi, tese tutti i muscoli innarcando a ruota la coda.

boschoIl capriolo era ancora immobile quando, allungato il cinquantaduesimo passo, mi chinai trepidante per accarezzargli il trofeo….e le foglie morte del sottobosco esplosero precipitandomi incontro. Allibito in quella posizione dalla sorpresa vidi un lungo becco emmergere a pochi centimetri dal mio naso. Scansai la testa d’istinto mentre la beccaccia, sfiorandomi, volando ad altezza d’uomo, si andava a rimettere con acute strida, in un brutto di rovi ad una quarantina di metri dietro di me . Finalmente mi alzai. Ancora irretito dalla velocitá degli eventi e cercando disperatamente di diminuire al contempo la pressione delle mani sul fucile e il tasso andrealinico nel mio cuore, lasciai che il cervello rievocasse le immagini di quegli ultimi istanti. Rividi il vigore dei movimenti nel volo di quella madre coraggiosa con quel minuscolo corpo giallo striato di bruno stretto saldamente tra le sue gambe. Le esili zampe del piccolo tenute raccolte contro il corpo e la sua testa girarsi fino a che i suoi occhi neri e profondi incontrarono i miei. Per qualche istante, lui preda ed io predatore, ci osservammo entrambi attori del grande e misterioso disegno che madre natura ci riservava.
dianaAncora oggi quell’impalpabile carezza d’ala sulla mia guancia mi ricorda un furtivo contatto di labbra e mi trastulla pensare che Diana, con un pudico bacio, premiasse la devozione di questo suo indegno seguace.

 

 Silvio Umberto Intiso

 

”Piano…piano…non si affanni che Lui ci aspetta!” Così bisbiglia il guardia cercando di frenare la mia impazienza. Dice bene, penso io cercando di mantenere un’andatura dignitosa (…gli anni pesano), ma la passione chi la controlla? Quella passione che mi ha portato cosÌ lontano da casa a cacciare in questa Lapponia mitica e meravigliosa e che adesso mi pulsa nelle vene…e poi questi non sono mica pollastri da svolare a calci! Le pernici bianche, così imbrancate di primo incontro, sono timide e leggere.
Al nostro arrivo, il Lui di cui sopra, con un’occhiata di intesa, pur sempre pietrificato, freme lievemente la coda. Nell’esperienza dei secoli che gli scorre nel sangue e dal vento che dalla sovrastante grigia ravina, schiaffeggiandogli il musone di sfinge, rotola giú nelle valli, pareva trovare la certezza che il suo lavoro era fatto, e che il nostro cominciava.

IMG_1747Il borbottio del caffè e lo scoppiettare del fuoco, mentre riposavamo le gambe, ci innalzava lo spirito e faceva eco alla voce del guardia che, intento alla pipa, rispondeva alle mie domande.
-Si, ha ragione, sono bracchi italiani ma io li chiamo polari – dice ridendo e con punta malcelata d’orgoglio aggiunge
– Gli unici in tutta la Scandinavia! Ho cacciato pernici e galli in queste zone per quindici anni e, per cinque, ho accompagnato anche cacciatori italiani e in tutte le condizioni atmosferiche immaginabili. Questa razza mi si è dimostrata molto idonea al carattere dei tetraonidi e a questi terreni….e poi lo ha visto anche Lei; ieri giú in foresta, senza quel trotto calmo ma deciso, al cedrone non ci saremmo mai arrivati cosí vicino – Il fumo mi pizzica le nari come l’odore della polvere da sparo del giorno prima quando, dopo aver seguito per quella che sembrava un’eternitá le natiche del braccone tra quei pini secolari, gattonando insellato con svolte sempre più strette si era finalmente fermato guardando uno sporco a un paio di metri.

-Buon Dio, che cane e che mostro di uccello!- Con il fragore assordante delle ali e la sua mole possente, quel cedrone aveva fermato il mio povero cuore e soltanto le piume che volteggiavano nell’aria a testimonianza di un centro perfetto l’avevano convinto e riprendere a battere.-Centro al primo colpo….che fucilata!- Non che io sia una schiappa, perchè a casa mia di starne e colpi belli ne faccio sovente, ma con un gallo così e con l’anima in bocca può succedere di tutto….anche ai migliori.

IMG_1756Mentre oscillo tra fortuna e bravura mi scotto le labbra col caffè che il guardia mi ha nel frattempo servito. – Con la temperatura come se la cavano?- chiedo soffiando nella tazza lappone di legno. – Si dice che sia una razza freddolosa e da queste parti di freddo ne avrete parecchio!- L’ombra di orgoglio che tutti i cacciatori del mondo hanno quando parlano dei propri cani è ancora presente nei suoi occhi divertiti mentre mi risponde. – Lui, Brutus di Monte Alago, é il mio primo bracco e anche primo in assoluto in Scandinavia- così dicendo punta il cannello della pipa verso i quaranta chili di magnifico e muscoloso roano accosciato al suo fianco che, indifferente a noi due, pare scrutare la valle ad indovinare in quali posti i pennuti si stiano rimpinzano di mirtilli. – Adesso ha quattro anni ma già a quattro mesi mi trotterellava annaspando tra gli sci quando, termometro a -34°, andavamo a cercare con la carabina quei galli pigri che si godono il sole sulla cima dei pini nelle corte giornate d’inverno – Piccola pausa per carezza sul testone del bracco – -Mentre lui, Toro, è suo figlio…- e spostando il cannello punta un biancoarancio di un’anno o poco più che, con nobile espressione e muso pieno di rughe, è intento a osservare una mosca impertinente che gli passeggia sugli anteriori aristocraticamente accavallati -…..in questa terra ci è nato e la neve pare addirittura divertirlo. Nonostante l’età promette bene e verrà su, forse, meglio del padre-
Questa razza è diversa, agisce per ragionamento e non per istinto per cui ci vuole pazienza ed amore, aspettando che le cose le capiscano da soli. Senza imposizioni, né violenze…-
SLAT!…SLAT!…. due colpi secchi di labbra e mascelle serrate seguiti da un movimento repentino della testa del cucciolone mi fanno capire che la mosca se l’è comunque cavata mentre gli occhi mi si posano sul carniere vicino alle armi dove dodici ”bianche” fanno contrasto al verde del muschio.
-Che bella giornata!-
Avrebbero potuto essere tredici se lassú sul tetto del mondo, in quella grigia pietraia inserita in una natura maestosa e bellissima, non mi fossi attardato un secondo di troppo ad ammirare l’armonia di quei ”Bracchi polari”.

 

IMG_1742                                                                         Silvio Umberto Intiso

 

Il bracco

Tra le vette innevate circostanti, il cielo si rispecchiava nei ruscelli e nei laghetti incastonati nell’ampia valle sottostante completando armonicamente i rossi e i gialli autunnali dei mirtilli e delle betulle nane. Insensibile alla maestositá del panorama circostante, percepí sul pelo un rifolo di vento e alzando di scatto la testa, si irrigidí.
Gli odori appiccicati al terreno e ai cespugli  che aveva seguito negli ultimi dieci minuti adesso gli arrivavano, portati dalle raffiche, forti e fragranti nelle nari.
Capí che la grossa famiglia era sicuramente nascosta immobile nella vasta macchia di mirtilli a una ventina di passi davanti a Lui e, valutando immobile la situazione, ebbe un dilemmma.
Dai suoi dieci anni di esperienza sul campo sapeva che un cauto approccio con una grossa famiglia, se pur molto difficile da condurre, avrebbe certamente garantito divertenti e numerosi incontri successivi.
Il primo frullo infatti, se orchestrato nel momento giusto, avrebbe portato il gruppo a disperdersi  in panico sbrancandosi nelle immediate vicinanze. Confusi dalla situazione, i singoli individui  sarebbero stati facile preda delle sue ferme future .
Il problema si poneva dal fatto che, dall’arrancare dei dei passi nella ravina sotto di lui, giudicava ancora eccessiva la distanza del suo compagno col bastone tuonante mentre intuiva che la vecchia capofamiglia, prolungandosi troppo gli aventi, si sarebbe decisa  a cambiare zona incominciando furtivamente ad allontanarsi di pedina.
Solo pochi centimetri di errore serebbero bastati per far decidere alla birbona di azzardare un frullo  prematuro portandosi via il gruppo unito e sparire lontano in qualche punto difficilmente localizzabile oltre le betulle nane della valle sottostante.
Le migliaia di anni di ricordi genetici che gli scorrevano nel sangue lo rendevano consapevole che, solo repristinando con estrema prudenza la giusta distanza tra Lui e l’avversaria, avrebbe potuto nuovamente fermarla, obbligandola a confidare nella atavica formula che: immobilitá e giusto mimetismo possono significare salvezza.
Lentamente, tenendo la testa immobile, posó finalmente la zampa anteriore sinistra sul terreno e con un movimento uniforme e armonico portó il suo grande corpo di bracco avanti di un passo senza alzare il garrese.

 

 

La pernice pernice bianca

 

Mentre tutta la famiglia stava ferma in attesa della sua prossima mossa, un piccolo e appetitoso coleottero gli ronzó a portata del becco cercando tra le foglioline rossicce dei cespugli di succhiare gli ultimi zuccheri dai mirtilli autunnali.
Tesa e immobile studiava la situazione analizzando il suo dilemma.
Il noioso quadrupede che aveva obbligato Lei e la sua famiglia ad abbandonare i luoghi della pastura mattiniera e che, incalzante, li aveva seguiti per tutto il loro defilamento con tanta tenacia, era giá di per stesso un fattore inquietante.
In un primo tempo aveva pensato di riuscire ad eludere quella fastidiosa presenza defilandosi di pedina ma, per qualche misteriosa ragione, l’intruso sembrava saper indovinare esattamente la strada percorsa dal gruppo e adesso, guadagnando lentamente terreno, era arrivato a sovrastare, immobile e pericolosamente vicino, la sua famiglia.
A complicare la situazione si erano aggiunti i nuovi rumori provenienti dietro il ficcanaso e che, con il loro avvicinarsi, gli facevano sospettare la presenza di un ben piú pericoloso nemico.
Alcuni sommessi pigolii gli ricordarono l’impazienza dei galletti dell’anno che, prolungandosi lo stallo, con un incauto movimento potevano mettere a repentaglio l’invisibilitá di tutto il gruppo.
Da vecchi e traumatici ricordi sapeva che l’abbandono dell’immobilitá, affidando la fuga alle ali, avrebbe reso il gruppo visibile e quindi vulnerabile al predatore.
Prendere una decisione divenne non solo necessario ma anche imperativo.
Se fosse riuscita ad aggiungere alcuni metri in piú di distanza tra Lei e gli intrusi avrebbe finalmente potuto azzardare il volo con il giusto margine di sicurezza e trascinarsi via la famiglia in quella zona distante oltre la valle dove sapeva esserci ancora abbondanza di bacche.
Stando china, con pochi passi rapidi e senza spostare neanche una foglia, si portó alla testa del gruppo e analizzó la situazione.
Anticipando la sua mossa, l’avversario aveva ridotto ulteriormente la distanza portandosi pericolosamente vicino ai pollastri di retrovia che si schiacciavano  immobili sul terreno a pochi metri da lui.
Con un sommesso gorgoglio congeló le brigata.

 

 

L’umano (alias io)1

 Tra le anse del ruscello, il sole trasformava i diamanti della brina notturna in striature leggere di nebbia tra cui ronzavano le ultime schiuse di ”effimere”.
I sassi coperti di alghe sul greto del torrente erano scivolosi e ció, oltre a rallentargli la marcia, l’obbligava a ignorare la maestosa bellezza circostante per controllare dove appoggiava i piedi.
Anche sulla sua fronte brillavano delle goccioline ma, apparentemente incurante al sudore, arrancava su per la ravina completamente assorbito da quello che accadeva davanti a lui.
Il braccone, stazza Kg.35 con l’osso, alternando guidate ad accenni di ferma aveva finalmente immobilizzato la coda insellando la schiena con zampa sinistra alzata.
Tutto era incominciato venti minuti prima quando il ”35 Kg.”” aveva indugiato su delle macchie rugginose di mirtillo.
Braccando di naso con dei tonfi da far invidia a un monocilindrico diesel e dopo diverse ”tirate”, alzando la testa  indagatrice nel vento, aveva finamente incominciato a guidare a corpo flesso verso l’alto dimenando di gioia il moncherino della coda (…ma tu guarda come diventa pimpante il vecchione quando sente il selvatico!) .
Sia Lui che il Bracco avevano capito che in quella valletta piena di sole aveva razzolato e pasturato qualche grossa famiglia di pernici e ambedue sapevano come le grosse brigate, se minacciate, avessero la brutta abitudine di pedinare via per poi alzarsi fuori tiro.
Acceleró e, alle terga del cane,  scavalcó finalmente la cima per affiancarsi ansando gli orecchioni sbattacchianti del bracco immobile.
Con il cuore gonfio di gratitudine per il suo vecchio e fedele amico stava li fermo nel vento completamente immerso di quel momento magico quando lo schianto improvviso del frullo ruppe il silenzio ………e anche Lui ebbe un dilemma.

 

Il bianco sfarfallare delle pernici artiche si incastrava nella bellezza dello scenario con una tale e aggraziata armonia che, intimorito, gli parve sacrilego alterare quel magnifico quadro.
Il rispetto e l’amore IMG_1716per la natura, Grande Madre che accomuna predatori e predati, gli portó un sentimento di rammarico e per un attimo, mentre imbracciava, un velo di simpatia gli addolcí gli occhi.
Ma fú un attimo breve, breve come un battito del cuore.
Lí, intorno a Lui, sentí tutti i suoi cani, quelli vivi e quelli morti e il vecchio nonno con i suoi racconti di cacce in Romagna e il suo bisnonno e il padre di lui e poi altri e altri ancora e giú fino agli albori dell’umanitá.
Senti l’odore della resina e del fumo dei bivacchi, il ruvido contatto della lancia nel palmo della mano  dell’avo mentre scrutava la preda, i morsi della fame mentre la bocca si riempiva di saliva al ricordo dell’odore del grasso sfrigolante sul fuoco.
In un millesimo di secondo tutti gli echi genetici dimenticati che lo avevano portato fin lassú, quelli stessi che ancora lo tenevano paralizzato vicino al suo bracco, scattarono come un immaginario relé nel profondo del suo inconscio.
Echi ancestrali che li trascinavano entrambi a macinare chilomentri e freddo, a dividere con le dita
gelate un boccone inzuppato di pioggia, a passar le serate leccandosi esausti ferite e graffi dei rovi, presero, in un baleno, il controllo della sua mente.
Ormai completamente immerso nel giuco della vita, incannando, irrigidi la presa e tiró il grilletto.

 

Silvio Umberto Intiso e Brutus di Montelago

L’avevo incontrato per la prima volta un mese prima, quando trovandomi in ferie con mia moglie nella mia dolce Liguria, ricevetti una telefonata serale da Anna Maria Scotto, stimata fornitrice dei miei ausiliari da caccia, nonché cara amica.

Ciao Silvio, come stai? …. bene grazie e Tu?

Dopo le solite frasi di abitudine veniamo al punto:

Ho sentito che cerchi un cane e io ho un cucciolone che giusto fa per te!

La storia che seguí fu drammatica e toccante.

… Sai, ha un anno ed é in cura da un ”allenatore” che ne voleva fare un cane da gara … purtroppo pare che a causa di una tendenza del cane al passo ambio non lo voglia piú e parli di darlo a qualcuno in Jugoslavia (…sigh!). Vai a vederlo che é un gran bel cane e soprattutto ha un carattere d’oro!

-Mio dio! Disse mia moglie, mentre io inorridivo vedendo quella scatola ”due metri per due” di lamiere ondulate sotto i trentatre gradi del bel sole italiano dove il bracco era rinchiuso.

Vieni fuori! …fatti vedere, disse il dotto “allenatore” divaricando le lamiere arruginite e facendo uscire, insieme a mosche e lezzo di sterco secco, il cane.

… Sa, qui dentro il ”fannullone” ha compagnia, sta con altri due cani che ora sono fuori ad allenarsi e a sudare mentre lui é da oltre cinque mesi che fa bella vita!-

il-cenerentolo-2Grosso, biancarancio, ossuto e senza muscoli, il ”cenerentolo” uscí incerto nella luce abbagliante del sole per poi subito precipitarsi ad immergere le fauci spalancate in una ciotola d’acqua sporca poco distante.

–o–

BANG!

La rosata fiondó il tappeto di mirtilli un metro abbondante dietro la coda della vecchia cedrona che, aiutata dalla discesa, viró velocissima sparendo dietro una grossa macchia di ginepri.

BANG!

La seconda botta si infiló rabbiosa tra gli aghi del povero arbusto che parve rabbrividire frustando violentemente l’aria coi rami.

Frulli e ombre tra i rami delle betulle circostatanti indicavano chiaramente che i giovani della nidiata seguivano l’esempio della chioccia cercando lidi piú tranquilli.

Giú, oltre i ginepri, qualcosa prese quota sfiorando le cime degli abeti per sparire definitivamente verso valle.

Porco boia l’ho mancata!

Il cucciolone, ancora buffamente fermo a testa in giú sulla ripida pendenza, contraccambió il mio sguardo e, inarcando le rughe che gli rotolavano sugli occhi, assunse una espressione del tipo …e ora?

–o–

Si era comportato benissimo fin dall’inizio.

Dopo aver incominciato freneticamente a braccare e sbuffare su e giú per una cinquantina di metri di ripida costa del monte, aveva preso a guidare deciso verso la cima seguito dal sottoscritto che, a retro del suo posteriore, era perfettamente conscio di quanto, i diabolici pennuti che abitavano quelle foreste, erano restii a collaborare e a rimanere sotto ferma.

… Saranno i cedroni della nidiata indicatami la sera prima dalle guide locali o sará chissá che?! …Magari una renna o un alce …o che so!? Ancora peggio …uno scoiattolo o un topo!

il-cenerentolo-3Non volevo neanche considerare quelle quattro quagliette spennacchiate da allenamento che gli avevano messo sotto il naso in un praticello italiano, per cui, questa era forse la sua prima azione di caccia e, per giunta, su un terreno cosí impegnativo come puó essere la lapponia svedese.

Rari pini facevano da cornice al pianoro della vetta che, discendendo bruscamente sull’opposto versante, spaziava sulla valle sottostante colorata dai gialli e rossi tipici dell’autunno del nord.

Il bracco, completamente insensibile a tali bellezze, continuava la sua guidata lentamente, passo dopo passo a testa alta, per poi, scavallando sulla ripida discesa, immobilizzarsi definitivamente.

–o–

In realtá io i miei “Montealago” li ho sempre presi appena svezzati dalla fattrice e questa era la prima volta che mi trovavo a che fare con un cucciolone di oltre un anno, per giunta cresciuto come un ”cenerentolo” nelle mani di un ”allenatore” neandertaliano che ancora ”allenava” i suoi cani a suon di fucilate e botte.

Ma quel suo fare guardingo di avvicinarsi a noi dopo aver bevuto l’acqua fetida della ciotola, quello sguardo intelligente di chi per sopravvivere deve aguzzare l’ingegno, quella disperata richiesta d’affetto malcelata dietro la prudenza di chi sa che dalle mani dell’uomo non vengono solo carezze, ci avevano immeditamente conquistato.

Fiduciosi nelle rassicurazioni della competente amica Anna sull’intelligenza e stabilitá di carattere del cane, l’avevamo accettato immediatamente ed eletto al rango di aspirante ausiliare da caccia di famiglia.

–o–

il-cenerentolo-4Tra gli abeti sottostanti un leggero frullo mi confermó che probabilmente l’ultimo della nidiata si ricongiungeva alla famiglia giú nella valle.

Porco boia l’ho cannata! Ripetei furioso.

La delusione per una cosí stupenda occasione di coronare il lavoro del cane e consolidare la sua esperienza futura mi soffocava e, mentre bestemmiavo sulla decisione (le solite scuse!) di essermi portato la doppietta del venti invece della mia vecchia e fedele ”Zoli” con il suo potente e tonante calibro dodici, quasi non mi avvidi che il bracco, discesa la crina, era sparito a tutta velocitá nel bosco sottostante.

SAUL! SAUL, VIENI QUI! Porco mondo, adesso perdo anche il cane!

Discendendo al massimo della velocitá e maledicevo il fatto di non poter usare il mio fischietto a cui il cane non era avezzo, mi chiedevo se avessi mai piú rivisto il quadrupede.

Rincorrendo le code dei cedroni, non abituato a queste emozioni e a questi terreni, si sarebbe potuto facilmente e irrimediabilmente perdere in quell’immensitá di chilometri quadrati di foreste,.

Forse mezzora, che a me comunque sembró un’eternitá, era ormai trascorsa da quando, raggiunta una radura, decisi di fermarmi aspettando seduto su un tronco che imputridiva pazientemente tra i mirtilli.

Mentre la seconda sigaretta si consumava tra le mie dita e assieme a lei la speranza di rivederlo, forte dell’esperienza dei luoghi, mi elencavano disperato tutti i pericoli che quei territori presentavano a un cane inesperto.

Orsi, linci, lupi e melmose paludi, in fantasie macabre, sbranavano e affogavano i miei trentasei chili di bracco tra ringhi, rigurgiti e strazianti guaiti …. quando di colpo un rumore lontano di rami spezzati mi fermó il cuore.

Ai bordi della radura tra delle betulle nane e contorte, era apparsa una macchia bianco arancio che avvicinandosi presentava contorni braccoidi.

Buon Gesú grazie, é lui! SAUL QUI! SAUL!

Ma c’era qualcosa di grosso e brunastro che disturbava l’armonia della sua meravigliosa testa e mi lasciava dubbioso.

…che sia?… no… non puó essere!… ma come e possibile?

Era proprio vero.

Il ”cenerentolo” mi veniva incontro tutto fiero a testa alta con la cedrona in bocca, disalata dalla mia fucilata ma ancora abbastanza viva da sbatacchiargli le ali sul muso obbligandolo a strizzarmi l’occhio; quasi a volermi dire:

Hai visto come sono bravo! … adesso hai capito con chi stai cacciando?

–o–

Un rumore di sega che morde un buon legno stagionato mi strappa di colpo dai profumi dell’autunno lappone, dagli abbracci e dai baci col groppo in gola del nostro incontro; la valle, gli alberi, la radura svaniscono e lentamente dai ricordi ritorno al presente.

La tastiera del computer adesso tace e soltanto lo scoppiettio dei ceppi nel caminetto fa da sfondo al russare spudorato del bracco che, avvitato in una posa impossibile modello ”pancia in su”, se la dorme alla grande nella sua comoda cuccia.

Alcuni scatti di zampa mi fanno sospettare che stia sognando; forse emanazioni, ferme, frulli di starne e fagiani, fucilate e riporti nei campi dello Scania con coccole, pappe calde, affetto e carezze.

Il ”Cenerentolo” dorme, russa e sogna felice mentre le luci intermittenti dell’albero di Natale paiono tingere con colori diversi i fiocchi di neve che lentamente e dolcemnte cadono, sul davanzale della veranda.

Grazie Anna, …. grazie e Buon Natale a tutti Voi!

il-cenerentolo-6

                                                                                                Silvio Umberto Intiso