Le sue orecchie sensibili avevano sentito l’avvicinarsi dell’uomo nell’oscuritá. Pochi flebili suoni bastarono ad immobilizzare il piccolo che, scimmiottandola, peluccava formiche e coleotteri tra i fili dell’erba bagnati nella raduna circostante. Correndo a gambe flesse distesa in tutta la sua lunghezza raggiunse dei cespugli di ginepro al limitare del bosco mentre il piccolo,arrancandole dietro, pur avvertendo nel tepore del corpo materno tensione e paura, le si rifugiava tra le gambe traendone immediato conforto. Da sola si sarebbe allontanata silenziosamente di pedina ma gli scarupi del bosco, intrigati da mille impacci, e le corte e deboli zampe del figlio implume, gli fecero optare per una attesa di eventi nel mimetismo dell’immobilitá.
L’umano giá da lungo tempo non produceva rumori ma lei ne avvertiva la presenza minacciosa nel crepuscolo della raduna. Inoltre nell’ultimo quarto d’ora un nuovo rumore veniva a complicare la situazione rendendola ancora piú nervosa. Nel risveglio della natura adesso percepiva distintamente dal profondo del bosco l’avvicinarsi di un grosso animale che, quantunque la sua esperienza lo presentasse come non pericoloso, avrebbe potuto obligarla a spostamenti dannosi per loro difesa mimetica.
Il capriolo brucava goloso i germogli e i fili d’erba ancora umidi ai confini della radunaSua madre, in tempi remoti, gli aveva insegnato i pericoli delle zone aperte e lui si spingeva in quella tagliata solo con la sicura protezione del buio. Avanzava, ruminando le foglie, e annusava a scatti i rifoli del vento cercandoci eventuali presenze ostili. Poco prima, a onore del vero, un vago e strano odore confuso nell’umidore del bosco, pizzicandogli ad un tratto le nari, l’aveva immobilizzato sospettoso per parecchi minuti ma, tranquillizzato dal canto delle cinciallegre che svolazzavano tra gl’alberi, aveva deciso di completare la sua colazione con quel tenero trifoglio selvatico che lui sapeva crescere tra i ginepri della raduna. Guardingo si avvió in quella direzione e quasi subito i suoi occhi allenati videro le due minuscole creature, l’una tra le gambe dell’altra, accovacciate davanti a lui. In un istante il linguaggio universale dei loro corpi gli spiegó il perché di quella strana posizione e un messaggio di tensione-pericolo gli lampeggio nel cervello. Capí e quello fú l’unico momento che ebbe realmente paura. Un forte colpo alla spalla lo sollevó di peso mentre uno schianto immane gli stordiva l’udito annebbiandogli la vista. Piú per riflesso che per decisione cercó di scappare tentando alcuni passi sulle gambe diventate stranamente pesanti ma invece cadde e senza capire cosa gli stava accadendo, come atto finale al suo ciclo di vita, spiró stendendo le gambe.
Lo schianto di un grosso martello battuto violentemente su una lastra di cristallo frantumó l’aria dell’alba assordandomi mentre sentivo il rinculo dell’arma contro la spalla. Il maschio di capriolo sobbalzó di lato come spinto da una mano invisibile e accennati alcuni passi,come ubriaco, crolló di schianto tra il sottobosco vicino ad una macchia di ginepri. A circa cinquanta metri di distanza nella mia postazione, mi alzai ancora frastornato sgranchendo le gambe anchilosate e mentre nelle orecchie l’eco dello sparo naufragava nelle onde di un pulsare sordo colmo di andrenalina, mi incamminai verso i ginepri dove era caduto contando i passi per calcolare la distanza del tiro.
All’esplosione sussultó. Terrorizzata ricordó quei rabbiosi sciami fischianti che inseguivano i suoi voli dopo lo sfrullo e il bruciore provocato dai loro morsi. La muta incompleta del piccolo, gl’impacci del terreno, l’avvicinarsi dell’umano col bastone tuonante si associarono nella sua testa facendola temere per le loro vite ma in quel momento tanto drammatico dai banchi della memoria genetica, il forte l’impulso di protezione della prole e della specie risveglió in lei il ricordo degli insegnamenti materni e immediatamente seppe cosa fare. Rinsaldando la presa delle gambe intorno al corpo del piccolo, piegó in avanti la testa immobilizzandolo con il lungo becco e focalizzati gli occhi su una visione a 360 gradi, tese tutti i muscoli innarcando a ruota la coda.
Il capriolo era ancora immobile quando, allungato il cinquantaduesimo passo, mi chinai trepidante per accarezzargli il trofeo….e le foglie morte del sottobosco esplosero precipitandomi incontro. Allibito in quella posizione dalla sorpresa vidi un lungo becco emmergere a pochi centimetri dal mio naso. Scansai la testa d’istinto mentre la beccaccia, sfiorandomi, volando ad altezza d’uomo, si andava a rimettere con acute strida, in un brutto di rovi ad una quarantina di metri dietro di me . Finalmente mi alzai. Ancora irretito dalla velocitá degli eventi e cercando disperatamente di diminuire al contempo la pressione delle mani sul fucile e il tasso andrealinico nel mio cuore, lasciai che il cervello rievocasse le immagini di quegli ultimi istanti. Rividi il vigore dei movimenti nel volo di quella madre coraggiosa con quel minuscolo corpo giallo striato di bruno stretto saldamente tra le sue gambe. Le esili zampe del piccolo tenute raccolte contro il corpo e la sua testa girarsi fino a che i suoi occhi neri e profondi incontrarono i miei. Per qualche istante, lui preda ed io predatore, ci osservammo entrambi attori del grande e misterioso disegno che madre natura ci riservava.
Ancora oggi quell’impalpabile carezza d’ala sulla mia guancia mi ricorda un furtivo contatto di labbra e mi trastulla pensare che Diana, con un pudico bacio, premiasse la devozione di questo suo indegno seguace.
Silvio Umberto Intiso