BRACCHI POLARI
”Piano…piano…non si affanni che Lui ci aspetta!” Così bisbiglia il guardia cercando di frenare la mia impazienza. Dice bene, penso io cercando di mantenere un’andatura dignitosa (…gli anni pesano), ma la passione chi la controlla? Quella passione che mi ha portato cosÌ lontano da casa a cacciare in questa Lapponia mitica e meravigliosa e che adesso mi pulsa nelle vene…e poi questi non sono mica pollastri da svolare a calci! Le pernici bianche, così imbrancate di primo incontro, sono timide e leggere.
Al nostro arrivo, il Lui di cui sopra, con un’occhiata di intesa, pur sempre pietrificato, freme lievemente la coda. Nell’esperienza dei secoli che gli scorre nel sangue e dal vento che dalla sovrastante grigia ravina, schiaffeggiandogli il musone di sfinge, rotola giú nelle valli, pareva trovare la certezza che il suo lavoro era fatto, e che il nostro cominciava.
Il borbottio del caffè e lo scoppiettare del fuoco, mentre riposavamo le gambe, ci innalzava lo spirito e faceva eco alla voce del guardia che, intento alla pipa, rispondeva alle mie domande.
-Si, ha ragione, sono bracchi italiani ma io li chiamo polari – dice ridendo e con punta malcelata d’orgoglio aggiunge
– Gli unici in tutta la Scandinavia! Ho cacciato pernici e galli in queste zone per quindici anni e, per cinque, ho accompagnato anche cacciatori italiani e in tutte le condizioni atmosferiche immaginabili. Questa razza mi si è dimostrata molto idonea al carattere dei tetraonidi e a questi terreni….e poi lo ha visto anche Lei; ieri giú in foresta, senza quel trotto calmo ma deciso, al cedrone non ci saremmo mai arrivati cosí vicino – Il fumo mi pizzica le nari come l’odore della polvere da sparo del giorno prima quando, dopo aver seguito per quella che sembrava un’eternitá le natiche del braccone tra quei pini secolari, gattonando insellato con svolte sempre più strette si era finalmente fermato guardando uno sporco a un paio di metri.
-Buon Dio, che cane e che mostro di uccello!- Con il fragore assordante delle ali e la sua mole possente, quel cedrone aveva fermato il mio povero cuore e soltanto le piume che volteggiavano nell’aria a testimonianza di un centro perfetto l’avevano convinto e riprendere a battere.-Centro al primo colpo….che fucilata!- Non che io sia una schiappa, perchè a casa mia di starne e colpi belli ne faccio sovente, ma con un gallo così e con l’anima in bocca può succedere di tutto….anche ai migliori.
Mentre oscillo tra fortuna e bravura mi scotto le labbra col caffè che il guardia mi ha nel frattempo servito. – Con la temperatura come se la cavano?- chiedo soffiando nella tazza lappone di legno. – Si dice che sia una razza freddolosa e da queste parti di freddo ne avrete parecchio!- L’ombra di orgoglio che tutti i cacciatori del mondo hanno quando parlano dei propri cani è ancora presente nei suoi occhi divertiti mentre mi risponde. – Lui, Brutus di Monte Alago, é il mio primo bracco e anche primo in assoluto in Scandinavia- così dicendo punta il cannello della pipa verso i quaranta chili di magnifico e muscoloso roano accosciato al suo fianco che, indifferente a noi due, pare scrutare la valle ad indovinare in quali posti i pennuti si stiano rimpinzano di mirtilli. – Adesso ha quattro anni ma già a quattro mesi mi trotterellava annaspando tra gli sci quando, termometro a -34°, andavamo a cercare con la carabina quei galli pigri che si godono il sole sulla cima dei pini nelle corte giornate d’inverno – Piccola pausa per carezza sul testone del bracco – -Mentre lui, Toro, è suo figlio…- e spostando il cannello punta un biancoarancio di un’anno o poco più che, con nobile espressione e muso pieno di rughe, è intento a osservare una mosca impertinente che gli passeggia sugli anteriori aristocraticamente accavallati -…..in questa terra ci è nato e la neve pare addirittura divertirlo. Nonostante l’età promette bene e verrà su, forse, meglio del padre-
Questa razza è diversa, agisce per ragionamento e non per istinto per cui ci vuole pazienza ed amore, aspettando che le cose le capiscano da soli. Senza imposizioni, né violenze…-
SLAT!…SLAT!…. due colpi secchi di labbra e mascelle serrate seguiti da un movimento repentino della testa del cucciolone mi fanno capire che la mosca se l’è comunque cavata mentre gli occhi mi si posano sul carniere vicino alle armi dove dodici ”bianche” fanno contrasto al verde del muschio.
-Che bella giornata!-
Avrebbero potuto essere tredici se lassú sul tetto del mondo, in quella grigia pietraia inserita in una natura maestosa e bellissima, non mi fossi attardato un secondo di troppo ad ammirare l’armonia di quei ”Bracchi polari”.
Silvio Umberto Intiso
Bel racconto. Molto suggestivo…
grazie Luigi